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Mega-Ale

Alessandro Corti
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One more ball

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"Everytime I have a dream... is one more ball... in my hands" Moon

Lo ha scritto un ragazzo di Roma in un suo video... mi ha ridato una carica insperata... e ora riprenderò in mano gli attrezzi che non toccavo da quasi 4 anni... Con calma spero di riprendere il ritmo...


Per vedere il video di Moon
www.youtube.com/watch?v=1B2zDD…
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Massidai!

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Ma si dai! Riesumiamo sto spazio!
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All'ospedale di Abelberg ? la gente lo sapeva ? c'erano i matti. Con le teste rasate e una divisa a strisce grigie e marroni. Tragico esercito della pazzia. I peggiori stavano dentro delle gabbie di legno. Ma c'erano anche quelli che giravano liberamente, ogni tanto ne trovavano qualcuno che vagabondava giù, al paese, lo prendevano per mano e lo riportavano su, all'ospedale. Quando varcavano il cancello qualche volta dicevano

- Grazie.

Ce ne sarà stato un centinaio, di matti, ad Abelberg. Con un medico e tre suore. E c'era una specie di assistente. Era un uomo silenzioso, dai modi gentili, avrà avuto una sessantina d'anni. Un giorno si era presentato lì, con una piccola valigia.

- Lei crede che potrei fermarmi qui? Posso fare molte cose e non sarò di peso a nessuno.

Il medico non trovò nulla in contrario. Le tre suore trovarono che, a suo modo, era un uomo simpatico. Lui si stabilì nell'ospedale. Con mite precisione assolveva ai compiti più diversi, come stregato da una trascendentale rinuncia a qualsiasi ambizione. Non si rifiutava a nulla: solo si permetteva di declinare, con cortese fermezza, qualsiasi invito a uscire, anche solo per un'ora, dall'ospedale.

- Preferisco rimanere qui. Davvero.

Si ritirava nella sua stanza, ogni sera, alla stessa ora. Sul suo comodino non c'erano libri, non c'erano ritratti. Nessuno mai lo aveva visto scrivere o ricevere una lettera. Sembrava un uomo venuto dal nulla. La totale indecifrabilità della sua esistenza era giusto venata da una singolare, e non insignificante, incrinatura: periodicamente lo trovavano accucciato in un angolo nascosto dell'ospedale, col volto irriconoscibile, e una cantilena che gli usciva dalla bocca, a mezza voce. Era una cantilena fatta dall'inesausta e sommessa ripetizione di una sola parola.

- Aiuto.

La cosa succedeva due, tre volte l'anno, non di più. Per una decina di giorni l'assistente dimorava in uno stato di inoffensiva ma profonda estraneità nei confronti di tutto e di tutti. Le suore avevano preso l'abitudine, in quei giorni, di fargli indossare la divisa a strisce grigie e marroni. Quando la crisi cessava, l'assistente tornava alla più rassicurante ed assoluta normalità. Si toglieva la divisa a strisce e tornava a indossare il camice bianco con cui tutti erano abituati a vederlo girare per l'ospedale. Riprendeva da capo la sua esistenza, come se nulla fosse successo.

Per anni, l'assistente consumò con diligente abnegazione quella singolare esistenza che oscillava pacificamente sulla impalpabile linea di confine che divideva il camice bianco dalla divisa a strisce. Il pendolo del suo mistero aveva cessato di stupire e macinava silenzioso un tempo che avrebbe anche potuto rivelarsi infinito. Fu con incredulità che, un giorno, videro improvvisamente il suo meccanismo incepparsi.

L'assistente stava camminando lungo il corridoio del secondo piano quando i suoi occhi caddero su qualcosa che per mille volte, in tanti anni, avevano già visto. E che, pure, in quell'istante sembrarono vedere per la prima volta. C'era un uomo, accartocciato per terra, nella sua divisa a strisce grigie e marroni. Con sistematica meticolosità, divideva i suoi escrementi in piccoli pezzetti che poi, lentamente, infilava in bocca e masticava, paziente e imperturbabile. L'assistente si fermò. Si avvicinò all'uomo e gli si accovacciò davanti. Prese a fissarlo, come rapito. L'uomo parve non accorgersi nemmeno della sua presenza. Continuò nel suo assurdo ma preciso lavoro. Per minuti e minuti, l'assistente rimase immobile a fissarlo. Poi, quasi impercettibilmente, la sua voce iniziò a scivolare tra i mille rumori di quel corridoio popolato di innocenti mostri.

"Merda. Merda, merda, merda, merda. State tutti in un lago di merda. Vi marcisce il culo in un oceano di merda. Vi marcisce l'anima. I pensieri. Tutto. Uno schifo grandioso, davvero, un capolavoro di schifo. Uno spettacolo. Maledetti vigliacchi. Io non vi avevo fatto niente. Volevo solo vivere, io. Ma non si può, vero? Bisogna crepare, bisogna stare in fila a marcire, uno dietro l'altro, lì a farsi schifo, con grande dignità. Crepate voi, bastardi. Crepate. Crepate. Crepate. Io vi vedrò crepare, uno dopo l'altro, solo questo voglio, adesso, vedervi crepare, e sputare sulla merda che siete. Dovunque vi siate nascosti, possiate farvi divorare dal più orrendo dei mali, e morire gridando di dolore senza un cane a cui importi qualcosa, soli come bestie, le bestie che siete stati, bestie infami e oscene. Dovunque tu sia, padre mio, tu e l'orrore delle tue parole, tu e lo scandalo della tua felicità, tu e il disgusto della tua viltà... che tu possa crepare di notte, con la paura che ti stringe la gola, e un male infernale dentro, e il tanfo del terrore addosso. E con te crepi la tua donna, vomitando bestemmie che le guadagneranno un paradiso infinito di tormenti. L'eternità non le basterà per pagare tutte le sue colpe. Possa crepare tutto ciò che avete toccato, le cose che avete visto e ogni singola parola che avete detto. Che avvizziscano i prati dove avete posato i vostri piedi squallidi, e scoppino come vesciche putrescenti le persone che avete lordato col tanfo dei vostri sorrisi. E' questo che io voglio. Vedervi crepare, voi che mi avete dato la vita. E insieme a voi tutti quelli che poi me l'hanno tolta, goccia dopo goccia, nascosti ovunque, a spiare nient'altro che ì miei desideri. Io sono Hector Horeau e vi odio. Odio i sonni che dormite, odio l'orgoglio con cui cullate lo squallore dei vostri bambini, odio ciò che toccano le vostre mani marce, odio quando vi vestite per la festa, odio i soldi che avete in tasca, odio la bestemmia atroce di quando vi permettete di piangere, odio i vostri occhi, odio l'oscenità del vostro buon cuore, odio i pianoforti che come bare popolano il cimitero dei vostri salotti, odio i vostri amori schifosamente giusti, odio tutto quello che mi avete insegnato, odio la miseria dei vostri sogni, odio il rumore delle vostre scarpe nuove, odio ogni singola parola che avete mai scritto, odio ogni momento in cui mi avete toccato, odio tutti gli istanti in cui avete avuto ragione, odio le madonne che pendono sui vostri letti, odio il ricordo di quando ho fatto l'amore con voi, odio i vostri segreti da niente, odio tutti i vostri giorni più belli, odio tutto quello che mi avete rubato, odio i treni che non vi hanno portato lontano, odio i libri che avete lordato con i vostri sguardi, odio lo schifo delle vostre facce, odio il suono dei vostri nomi, odio quando vi abbracciate, odio quando battete le mani, odio quel che vi commuove, odio ogni singola parola che mi avete strappato, odio la miseria di quel che vedete quando guardate lontano, odio la morte che avete seminato, odio tutti i silenzi che avete straziato, odio il vostro profumo, odio quando vi capite, odio qualsiasi terra che vi abbia ospitato, e odio il tempo che è passato su di voi. Ogni minuto di quel tempo è stata una bestemmia. Io disprezzo il vostro destino. E ora che mi avete rubato il mio, solo mi importa sapervi crepati. Il dolore che vi spezzerà sarò io, l'angoscia che vi consumerà sarò io, il tanfo dei vostri cadaveri sarò io, i vermi che si ingrasseranno con le vostre carcasse sarò io. E ogni volta che qualcuno vi dimenticherà, lì ci sarò io.

Volevo poi solo vivere.

Bastardi."

Quel giorno, l'assistente si infilò mitemente la divisa a strisce per non togliersela mai più. Il pendolo si era inceppato per sempre. Nei sei anni che ancora trascorse nell'ospedale nessuno lo udì pronunciare una sola parola. Fra le infinite violenze a cui si abbevera la pazzia, l'assistente scelse per sé la più sottile e inattaccabile: il silenzio. Morì, una notte d'estate, con il cervello inondato di sangue. Un rantolo orribile se lo portò via, con la rapacità fulminea di uno sguardo.

Alessandro Baricco.... Penso che questo sia uno dei pezzi più intensi della letteratura italiana degli ultimi 15 anni...
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